"Uomo della fiducia e del perdono": il ricordo di don Mario Torregrossa, il prete romano spentosi ieri, vittima nel ’96 dell’aggressione di uno squilibrato

Dodici anni fa era cambiata la sua vita, quando uno squilibrato gli diede fuoco mentre pregava nella chiesa romana di San Carlo da Sezze, ad Acilia, della quale era parroco. Non è mai cambiata però la sua anima: quella di un uomo e di un sacerdote dominato dall’unico pensiero di servire i “suoi” poveri, fin sul letto di morte. All’età di 64 anni si è spento ieri don Mario Torregrossa, che il 24 novembre 1996 fu ridotto in fin di vita con ustioni su metà del corpo. Tuttavia, pur condizionato nei movimenti, don Mario non ha smesso di essere “l’anima” di una parrocchia che ora lo ricorda per la sua innata fiducia nell’uomo, come dimostra il perdono che egli diede senza riserve al suo aggressore. I funerali si svolgeranno il 2 gennaio alle 9.00. Don Fabrizio Centofanti – per molti anni collaboratore di don Mario e poi parroco nella stessa chiesa – lo ricorda così, al microfono di Alessandro De Carolis:

R. – Don Mario ha avuto tre "colonne" nella sua, potremmo dire, spiritualità, ma forse, di più, azione perché è stato un uomo di fatti. Queste colonne erano i giovani, i poveri e la Provvidenza. Lui ha costruito un centro per i giovani, per la loro formazione e si è dedicato ai poveri fino all’ultimo. Io sono stato con lui sino alla fine e lui, fino agli ultimi respiri, mi ha chiesto delle persone che avevano delle scadenze di tipo economico e che lui doveva aiutare. Poi la Provvidenza, perché lui ha sempre avuto questa fiducia nell’intervento del Padre e quindi si è mosso sempre con questo criterio e con questo criterio sono venuti su la chiesa di San Carlo da Sezze, il Centro di formazione giovanile "Madonna di Loreto" e, poi, l’ultimo suo sogno: quello di un dormitorio per i poveri, perché noi conosciamo tanta gente che dorme per strada. Questo è il sogno che non ha realizzato, ma che prendiamo noi in eredità. Inoltre, c’erano le colonne della sua catechesi: don Mario ha fatto tenuto una serie di catechesi sulla fede, sulla speranza, sulla carità, sulla famiglia, sulla Chiesa e sul mondo: fede speranza e carità hanno dato vita a tre preghiere che sono state riconosciute dalla Chiesa, hanno avuto l’imprimatur. Don Mario è stato un uomo di cuore ma è stato anche un uomo di cultura. Personalmente, mi ha avviato anche all’interno di un discorso culturale al quale lui teneva molto e a questo bisogna aggiungere anche la sua esemplare obbedienza alla Chiesa, perché don Mario è stato un uomo di grande originalità ma anche di grande obbedienza e di grande amore per la Chiesa. Lui amava la Chiesa anche in senso fisico: stava sempre in chiesa – ultimamente sulla sedia a rotelle – e non potendo più celebrare con facilità stava sempre lì a confessare.

D. – Un’aggressione così sconvolgente, come quella subita da don Mario, che rovina un’esistenza, potrebbe indurre chi ne è rimasto vittima a covare odio verso l’aggressore. Ma non don Mario: lui è stato un uomo del perdono…

R. – Io ho visto don Mario quando ha incontrato la persona che gli ha dato fuoco. Appena l’ha visto, gli è andato incontro e gli ha stretto la mano. Questo perdono, quello di don Mario, penso sia una delle più profonde caratteristiche della sua persona. Perché a don Mario, bisogna dirlo, gliene hanno fatte di tutti i colori. Ha avuto a che fare con poveri, ma anche con poveri difficili. Ha tirato fuori persone che erano inseguite dagli strozzini. E, sempre, lui ha avuto questo atteggiamento di perdono verso tutti quelli che hanno tentato, in molti modi, di fargli del male.

D. – Un atteggiamento, quello mantenuto da don Mario in questi ultimi anni, che è indice di una fiducia nell’uomo sostanzialmente illimitata. E’ un insegnamento molto importante in un tempo come il nostro, invece segnato da grandi egoismi…

R. – Don Mario ha avuto una "carriera" di malato molto intensa. Gli diedero due mesi di vita già prima dell’ordinazione sacerdotale, poi ha avuto un ictus nel ‘89, ha avuto due infarti, è stato bruciato… e poi l’ultimo infarto con l’edema polmonare e l’ischemia che l’ha purtroppo stroncato. Io avevo fatto il voto di essere il suo braccio destro per sempre. Adesso che lui è morto, raccolgo questa sua eredità di fiducia nella vita, di fiducia nell’uomo. Questa fiducia è il dono di don Mario, è la sua eredità, nonostante tutto, nonostante lui ne abbia passate di tutti i colori.

D. – Dunque, don Mario continuerà a vivere tra di voi, anche attraverso di lei e i vostri amici, i vostri parrocchiani…

R. – Don Mario sappiamo che non muore perché noi crediamo nella resurrezione della carne. Ma io dirò che don Mario non muore anche per un altro motivo. Sì, per quello che ha detto lei: perché ha lasciato un seme che non morirà, rimarrà per sempre.


(fonte www.radiovaticana.org)

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