VIVERE A “TESTA ALTA” – LA SPERANZA NELL’ALDILA’
INTRODUZIONE
Continuiamo la trattazione del tema della speranza ma in riferimento alla morte e alla sofferenza. Come canovaccio useremo un testo dell’azione cattolica della diocesi di Modena – Nonantola, il programma per il cammino associativo degli adulti per l’anno 2005-2006 dal titolo Testimoni di Cristo risorto, speranza del mondo “Rigenerati per una speranza viva”. Un tema, quello di oggi, che ci porterà a riflettere su un aspetto della vita che l’uomo molte volte cerca di esorcizzare o di allontanare il più possibile. Ascolteremo una delle pagine più belle del vangelo di Giovanni, il brano della resurrezione di Lazzaro e in esso sull’atteggiamento delle sorelle e delle persone che accorrono a consolarle. Leggeremo una testimonianza di un marito/padre cristiano resa in occasione della morte della moglie e poi nel confronto di coppia ci lasceremo aiutare, come sempre, da alcune domande. Concluderemo mettendo in comune ciò che lo Spirito susciterà nel confronto.
Ascoltiamo la Parola (Gv 11, 1-48.53)
Dal Vangelo secondo Giovanni
1 Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. 2 Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3 Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato».
4 All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5 Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. 6 Quand’ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. 7 Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8 I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9 Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10 ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». 11 Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12 Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s’è addormentato, guarirà». 13 Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. 14 Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15 e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!». 16 Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
17 Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. 18 Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia 19 e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. 20 Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21 Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22 Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». 23 Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». 24 Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell’ultimo giorno». 25 Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26 chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». 27 Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo».
28 Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29 Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. 30 Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31 Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». 32 Maria, dunque, quando giunse dov’era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33 Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: 34 «Dove l’avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35 Gesù scoppiò in pianto. 36 Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». 37 Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».
38 Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. 39 Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». 40 Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». 41 Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. 42 Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43 E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44 Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».
45 Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. 46 Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. 47 Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni. 48 Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». …… 53 Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Parola del Signore
La testimonianza di Luigi in memoria di Michele
Per la morte della mia sposa Michela Ceccon, avvenuta il 3 novembre, io e i figli abbiamo ricevuto centinaia di telegrammi e di lettere. Tanti hanno voluto parlare con noi per telefono, o sono venuti a Roma per la messa di addio del 5 novembre nella chiesa di S. Martino ai Monti.L’accoglienza che Michela praticava con tutti e la reazione cristiana alla malattia hanno arricchito le amicizie che ci ha lasciato in eredità. Abbiamo letto insieme, io e i figli, lettere e telegrammi. Beniamino apriva le buste, Matilde allargava i fogli, Agnese e Valentino leggevano i testi, io raccontavo chi era a scrivere e come l’avevamo conosciuto. La vivente memoria di Michela è la nostra ricchezza. Attiva il soccorso degli amici, ci impedisce di sentire freddo nella casa dove lei non corre e non sorride più. Una casa che ci ricorda la sua dolcezza, ma ci ricorda anche quella mattina di pioggia quando li ho svegliati, li ho abbracciati e ho detto a ognuno: “La mamma è morta”. Vorremmo rispondere a tutti quelli che ci hanno scritto, raccontare a ognuno quello che Michela è stata per noi e come stiamo reagendo alla sua partenza. Facciamo intanto questa risposta collettiva. La vita ci aiuterà a dire il resto ai singoli, nelle occasioni che loro e noi inventeremo. La sua malattia è durata quasi tre anni. Lei ha sempre saputo tutto e non si è mai illusa di guarire. Per un patto di cui era gelosissima, io non sono mai andato dai medici senza di lei. Fino a luglio ha condotto la vita di sempre, come non fosse malata, esigendo che io e i figli svolgessimo per intero le nostre attività. Pur gravissima, volle fare la vacanza in montagna che aveva programmato: considerava importanti le vacanze con gli amici e non voleva che quella festa fosse turbata dalla sua sofferenza. Sorrideva a tutti e tutti pensavano che la malattia non fosse così grave. Ad agosto è iniziata l’infermità totale: cinquanta giorni al Gemelli, quindici a casa, ventitré nella clinica dove è morta. Questa fase l’ha vissuta in una straordinaria concentrazione spirituale, in preparazione al passaggio. Prima resistendo al male in nome della vita, poi accettando il distacco che le veniva imposto: questa è stata la sua reazione alla malattia, che ha commosso tanti. La prima fase tutti la conoscono. La seconda la dobbiamo ancora raccontare ai più.Diceva che la malattia era il nostro secondo matrimonio: eravamo stati fedeli nella buona sorte, dovevamo esserlo nella cattiva. Così avremmo continuato ad amarci nella verità e forse la felicità, che non è mai senza prezzo, ci avrebbe ancora visitato. Tre settimane prima della morte abbiamo riletto, in clinica, all’inizio del ricovero definitivo, il rito del matrimonio. Dove si parla di “amore fedele e inesauribile”, sosteneva che quella parola non era esagerata e che avremmo avuto presto la possibilità di verificarla: se fossimo riusciti ad amarci fino alla fine, senza cedere allo spavento del male destinato a separarci, avremmo avuto la riprova che il nostro affetto non era limitato alle nostre forze, ma lievitato dallo Spirito che avevamo invocato 17 anni prima. Volle che io restassi sempre accanto a lei, dormendo tutte le notti in clinica e affidando i figli alla generosità degli amici. Perché – diceva – siamo due in uno, non possiamo vincere la Bestia che una volta fu più forte dell’Agnello, ma possiamo tentare di resistergli finché ci sarà permesso. Diceva che era un’avventura – questo modo di affrontare la morte – che voleva vivere insieme a me. E che solo così potevamo fare della nostra tragedia un atto d’amore. Abbiamo pregato e pianto. Non eravamo stati tanto tempo insieme in nessun altro periodo del nostro matrimonio. Più volte – fino agli ultimi giorni – ci siamo detti che eravamo felici, pur con l’anima sottosopra. Lei era felice della mia fedeltà nella prova, io della sua decisione di dedicare a me il poco fiato che le restava. Ambedue lodavamo Dio per aver mantenuto la fede nella sofferenza e invocavamo che la prova fosse abbreviata. In questo spirito mi ha indicato come voleva il funerale, i canti di speranza che lo dovevano accompagnare e la frase di Paolo da mettere sulla tomba: “Né la morte né la vita ci potranno separare dall’amore di Cristo” (Romani 8,39). Gli ultimi due giorni ha rifiutato valium e morfina per vena allo scopo di restare cosciente. È morta nel sonno, come avevamo chiesto. Ma fino a pochi minuti prima era vigile, nell’affanno del respiro che le mancava. E pregava: “Ora lascia che il tuo servo vada in pace”. E mi salutava: “Gigi, ora me ne vado”. “Non ho rimpianti”, mi aveva detto qualche giorno prima: “Mi dispiace solo di lasciarvi, ma so che non vi perdo. Se il Regno è già iniziato, voi siete per me l’inizio del Regno, vi ritroverò”. Fino all’ultimo le ho ripetuto che ero contento di lei, che ero stato sempre contento di lei. E glielo dicevo a nome dei figli e di quanti l’avevano conosciuta. Questo volevamo per il momento raccontare a tutti coloro che hanno amato Michela e che ci hanno scritto. Non ci dimenticate.
Roma, novembre 1990 Luigi Accattoli
Per la nostra riflessione
- Cogliamo la vita quotidiana come la vita eterna che già si affaccia? Quale prospettiva apre sulla vita di famiglia, sulle scelte della coppia, la prospettiva dell’eternità? In che modo mi pongo nei confronti della malattia, sofferenza, morte?
- Quale senso di comunione si vive in casa con coloro che hanno già raggiunto l’altra sponda e con i quali non c’è più comunità di vita, ma resta la comunione nel Signore?
- Educhiamo noi stessi, l’altro/a, i figli alla realtà della Vita eterna? Come possiamo fare?
- La testimonianza quotidiana della fede ha la prospettiva della vita eterna, o, anch’essa si ritaglia orizzonti angusti, dove il risultato si misura sull’efficienza, sulle presenze, sul credito che si acquista?