Don Francesco De Franco

omeliaOggi il Signore Gesù ci invita a sederci a tavola con lui. Non ci stupisce questo invito. Era solito Gesù invitare ed invitarsi, condividere con tutti, specialmente con i peccatori e i pubblicani, la mensa. Il “sedersi a tavola” in oriente significa condividere la vita dell’invitante e degli invitati: Marta, Maria, Lazzaro, Simone, Zaccheo, Matteo, i pubblicani e i farisei e questo per molti al tempo di Gesù era di scandalo: Lc ci dice nel c.15 del vangelo, il capitolo della m
isericordia, che Gesù era solito accogliere i peccatori e sedersi a tavola con loro e questo suscitava le ire dei dottori della legge e dei farisei tanto da volerlo condannare a morte. In un altro contesto si dice che Gesù “era un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11,16-19). Anche coloro che siedono con Gesù nella cena pasquale sono peccatori: Pietro lo rinnegherà, Giuda lo tradirà e gli altri davanti al pericolo, per “paura” andranno via. L’accoglienza e di Gesù verso di loro e la sua misericordia è data da alcune azioni che Gesù fece in quella cena: “si alzò da tavola”, “depose le vesti”, “si cinse un asciugamano”. Gesti che racchiudono tre grandi insegnamenti del maestro o tre passi da fare per essere misericordiosi. 

“Si alzò da tavola”: come è avvenuto nella chiamata, anche questa volta è Gesù che prende l’iniziativa e va verso di loro. Nella cultura orientale non è il maestro che va verso il discepolo ma il contrario, alla mensa non è la persona di rango maggiore che va verso coloro che sono di rango inferiore ma il contrario: il padrone o l’ospite di riguardo è servito e riverito ed occupa il posto migliore (ricorderete la parabola di Gesù sul posto da occupare a tavola: Lc 14,7ss “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto..”). In questo caso non solo Gesù è il “maestro” ma anche colui che ha invitato gli apostoli a mangiare la Pasqua con lui. Gesù non si preoccupa del suo “ruolo”, al contrario, alzandosi da tavola e andando verso di loro, insegna ai suoi discepoli in che cosa consiste l’accoglienza: “fare il primo passo”. Un passo che va fatto a prescindere dalla condizione o dalla situazione di chi ci sta davanti. Il maestro insegna ad andare oltre le apparenze e le situazioni di peccato. Gesù conosce quale sarà la reazione e l’atteggiamento degli apostoli davanti al suo arresto e alla sua passione, ma ciò non lo distoglie dall’andare verso di loro per servirli.

“Depose le vesti”: il richiamo all’incarnazione è forte. Penso al bellissimo inno ai Filippesi di Paolo in cui parlando di Gesù dice: “il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (2,6-8).  Ancora una volta Gesù si spoglia delle sue vesti per aiutare i discepoli ad indossare la “tunica preziosa” del Padre della parabola. Attraverso questo gesto semplice, ma molto significativo, Gesù riveste i discepoli di una nuova dignità: quella dell’amore. Il gesto di ribellione di Pietro e il conseguente insegnamento di Gesù hanno lo scopo di aiutare Pietro e gli altri a capire che se non si riceve “L’Amore” non si può dare amore. L’uomo che conta sulle sue forze difficilmente ama senza interesse e fatica molto a comprendere il perché deve farlo. Se il primo insegnamento del maestro è quello di fare “il primo passo”, il secondo è quello di non fermarsi “alle apparenze o ai pregiudizi”.

“Si cinse un asciugamano”, anche se Gesù aveva abituato i discepoli a gesti nuovi, immagino il loro stupore nel vedere, durante la cena, il maestro che indossa il grembiule del servitore per chinarsi verso di loro. Un gesto nuovo quello di Gesù. I piedi si lavavano all’inizio della cena e mai durante, a farlo erano i servi o in alcuni casi era la moglie o la figlia che lavavano i piedi al marito o al padre, ma mai un maestro. Lo stupore di Pietro è dato anche dal modo nuovo con cui in Giovanni si rivolge a Gesù chiamandolo “Signore”. Il “Signore” mette da parte il galateo degli uomini per insegnare quello di Dio. E’ un galateo che non bada alla forma o alle apparenze ma ad un nuovo modo di far sentire l’altro a suo agio e ben voluto. E’ il galateo dell’amore e del servizio, è l’abito nuovo che gli apostoli e la chiesa dovranno indossare. E’ l’abito che porterà la chiesa come diceva don Tonino Bello ad essere la “chiesa del grembiule”, cioè quella famiglia capace di essere attenta ai bisogni di tutti, in particolar modo dei più poveri, di coloro, la cui dignità, è calpestata e svalutata. Una famiglia capace di individuare i bisogni e aiutare le famiglie ad essere “luogo di accoglienza e di amore”. “Accogliere” e “amare” significa dismettere i panni dell’egoismo, dell’individualismo, dell’interesse per costruire tra i membri della famiglia un rapporto di condivisione e di servizio.

Dopo “il fare il primo passo”, il “non fermarsi alle apparenze o ai pregiudizi” il terzo insegnamento è “il servire senza aspettarsi nulla”, la “gratuità”.

Rispondere questa sera all’invito di Gesù, significa chiedere a Dio Padre di aiutarci ad avere “gli stessi sentimenti “di Cristo Gesù. Al termine dell’omelia laverò i piedi a 12 persone della nostra comunità parrocchiale.

Invito tutti voi, alzandovi da questa mensa.al termine della messa, per tornare alle vostre case, ad unirvi a me in questo “chinarci”. Se ci sono incomprensioni verso qualcuno della casa chiediamogli perdono; se il nostro cuore è pieno di astio o di rancore mettiamolo a tacere chiedendo a Gesù di trasformarlo con sentimenti di amore e di accoglienza; se il nostro cuore è arido chiediamo che il suo corpo lo renda strumento di gioia e di riconoscenza; se il nostro cuore è pieno di egoismo, di gelosia, di rabbia chiediamogli che il suo sangue lo renda strumento di attenzione, di pace e condivisione.

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